UN PUNTO DI VISTA SULLE RIFORME COSTITUZIONALI
la riforma dell’illusione costituzionale come via formale all’introduzione dell’autoritarismo di potere
Il governo Renzi, forte di una maggioranza parlamentare ottenuta con una legge dichiarata incostituzionale, si appresta a cambiare la Costituzione, senza alcun rispetto per la prassi parlamentare, con lo stesso schema con cui ha già fatto approvare la nuova legge elettorale (Italicum). Si tratta di modifiche indispensabili proprio per rendere efficace la riforma elettorale, che assegna uno sproporzionato “premio di maggioranza” al partito che risultasse primo nel ballottaggio, indipendentemente dalla maggioranza effettiva dei votanti. Un colpo di mano diretto a stravolgere la democrazia rappresentativa, concentrando nelle mani del governo e di chi lo guida potere esecutivo e potere legislativo ed eludendo il controllo parlamentare che il bicameralismo avrebbe dovuto garantire, condizionando l’elezione degli organi di garanzia e controllo quali il Presidente della Repubblica, i giudici della Corte Costituzionale e i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.
Nello specifico dei principali punti della riforma, scopriamo che:
– è previsto il superamento dell’attuale bicameralismo: il senato infatti viene trasformato in un organo che dovrebbe rappresentare le istituzioni territoriali, privato del potere di dare o togliere la fiducia al governo.
– si attribuisce al Governo il potere di dettare alla Camera dei Deputati i tempi per l’approvazione di leggi ritenute importanti. A tale scopo viene inserito l’istituo della “tagliola”, che permette al Governo di imporre la chiusura del dibattito entro il termine di 70 giorni, per passare subito al voto finale sul testo proposto. I deputati non potranno discutere , nè proporre modifiche, vedranno il proprio ruolo svilito a “passacarte”. Si tratta di uno strumento di ingerenza che viola il principio di separazione dei poteri.
– si riduce significativamente il diritto di iniziativa legislativa popolare, che vede il numero delle firme necessarie alla presentazione della proposta di legge triplicarsi, da cinquantamila a centocinquantamila.
Queste modifiche costituzionali verranno combinate con il nuovo sistema elettorale, che è già stato approvato ed entrerà in vigore il 1° luglio 2016 (a cancellazione avvenuta del Senato come camera elettiva). Obiettivo del nuovo sistema elettorale è attribuire ad un unico partito la vittoria elettorale ed il governo del paese, abolendo le coalizioni. Con questo sistema, se nessuna lista raggiunge il 40% al primo turno, si svolge un ballottaggio tra le due liste più votate. Chi vince il ballottaggio si aggiudica il premio di maggioranza, indipendentemente dalla percentuale di voti raggiunta.
Nel caso di due partiti che raggiungano circa il 25% al primo turno, l’elettore si vedrà costretto, al secondo turno, a votare uno di quei due partiti. Anche dovesse restare a casa il risultato non cambierebbe. In ogni caso uno dei due partiti vincerà le elezioni, aggiudicandosi il premio di maggioranza e potendo così governare da solo il paese.
La regola democratica per la quale “il voto è personale ed eguale, libero e segreto”, espressione del principio di eguaglianza per cui tutti i voti hanno peso uguale e che vince le elezioni e governa chi ha più voti, viene stravolta. Con il nuovo sistema potrà governare chi ha ottenuto solo il 25%, senza curarsi del restante 75% dei cittadini che hanno scelto diversamente, il cui voto varrà 3 o 4 volte meno del voto degli elettori del partito che conquista il “premio”. Inoltre, con il ballottaggio, si istituzionalizza la regola del votare “il meno peggio”.
Il Governo, nelle intenzioni dei “padri costituenti” , aveva bisogno, per governare, della fiducia del Parlamento. Il Parlamento, con queste due riforme, costituzionale ed elettorale, vedrebbe drasticamente ridotta la propria centralità, svilita alla sola funzione di ratifica dei provvedimenti del Governo.
Senza alcuna legittimazione l’attuale maggioranza sta apportando modifiche sostanziali alla Costituzione, dirette a ridimensionare la centralità del Parlamento, quale istituzione rappresentativa della sovranità popolare, realizzando una forzata concentrazione di poteri nelle mani del Governo.
Questo è quanto ci aspetta sul campo delle “riforme istituzionali”. Ovviamente Renzi ed il suo governo, come d’abitudine, liquidano ogni critica come frutto di resistenze di vecchi imbecilli ad una inarrestabile modernità. Ma dall’altra parte l’opposizione batte pochi colpi ed è priva di una compiuta valutazione storica e politica del problema: la deriva costituzionale del nostro paese non origina dalla controriforma di Renzi, ma con essa invece si compie, dopo un lungo percorso iniziato all’atto stesso del varo del “patto costituzionale”. La Carta Costituzionale “nata dalla Resistenza” e “legge più importante” per gli italiani è stata veramente quel caposaldo indispensabile per la difesa della democrazia (borghese)? E’ veramente il caso di nutrirsi di “illusioni costituzionali”, vagheggiando la “riconquista” della Costituzione del 1948; una posizione tipica degli esponenti democratico-borghesi, imbevuti di parlamentarismo. Dovremmo veramente darci l’obiettivo politico di costruire comitati per la difesa della Costituzione (prc)?
UNA COSTITUZIONE “SOVIETICA”?
Partiamo dall’inizio. Con la “svolta di Salerno”, dell’aprile ’44, Togliatti, segretario generale del PCI, impose, per ragioni internazionali, che la lotta di Resistenza al nazi-fascismo si sviluppasse sulla base di una strategia di alleanza tra i partiti antifascisti di massa (comunisti, socialisti e cattolici), indirizzata allo sviluppo di una “democrazia progressiva”, individuata come unica possibilità storicamente determinatasi per un cambio di regime nel nostro paese. Già nell’aprile ’44 Togliatti ebbe a dichiarare: “Non si pone oggi agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia” , dando a questa opinione una “natura programmatica”.
La strategia fu quella di un fronte unito senza pregiudiziali, che abbandonò partigiani e militanti comunisti e i loro sogni di rivoluzione. Non si trattò di attendere momenti più favorevoli, accumulando forze nella lotta per il socialismo. No, semplicemente Togliatti e dirigenti del PCI imposero a governi e partiti borghesi la propria presenza di forza politica organizzata per la gestione del potere attraverso gli organismi istituzionali: parlamento, governo, autorità locali.
A tal fine, nell’ambito dell’Assemblea Costituente (’46-’48), Togliatti operò affinchè la magistratura costituisse un ordine autonomo e indipendente da altri poteri (dal governo, ma anche da forme di controllo popolare). Si adoperò poi per l’istituzione del bicameralismo, per cui, ogni legge per essere approvata deve passare al vaglio sia della Camera che del Senato. Ed infine il PCI favorì l’approvazione delle leggi di autonomia regionale, estendendo alle regioni poteri molto ampi, come quello di legiferare, amministrare e spendere. Così il gruppo dirigente del PCI cercò di imporre la propria influenza sugli apparati dello stato.
Non fu strategia per il socialismo, ma un’abile tattica per ritagliarsi all’interno del sistema borghese un proprio spazio economico e politico (e clientelare).Togliatti giustificò la validità della propria scelta qualificandola come una singolare via costituzionale al socialismo: “la lotta politica per dare alla democrazia italiana contenuti nuovi, socialisti, ha nella Costituzione un ampio terreno di sviluppo”, “una linea politica di conseguente sviluppo democratico e di sviluppo nella direzione del socialismo attraverso l’attuazione di riforme di struttura previste dalla Costituzione stessa”.
La strategia delineata si sarebbe col tempo ulteriormente affinata ed affermata: riconoscere la legittimità dei governi borghesi (DC), nei confronti dei quali legittimarsi come forza di opposizione, per far parte, in pianta stabile, del sistema di potere della grande borghesia italiana. A tal fine la grande “alleanza con le masse cattoliche”, lungi dal rappresentare l’accumulo di forze proletarie e popolari per una improbabile “via italiana al socialismo”, finì col diventare compromesso politico con la DC, in funzione “atlantica” (adesione alla NATO), per l’espansione dei grandi monopoli pubblici e privati e per il controllo e la repressione delle lotte operaie e contadine.
E la Costituzione? Rimase, come la “via italiana” al socialismo, un’opera incompiuta che nei suoi principi ispiratori non si realizzò e non poteva realizzarsi perchè l’impedimento era insito nei rapporti di forza: non si cambia la società senza conquistare il potere. O una foglia di fico: anni e anni di retorica costituzionale non ci hanno salvato da leggi emergenziali, terrorismo fascista, corruzione dilagante, guerre umanitarie, disoccupazione e, soprattutto, da una devastante ingiustizia sociale. La costituzione fu una tappa di quella strategia dell’inganno che ha proprio nel PCI il suo vettore principale: mentre da un lato si discuteva di “grandi diritti sociali” e di “socialismo”, dall’altro si lasciava mano libera ai padroni.
Così, quella italiana, divenne la migliore costituzione del mondo, una costituzione assolutamente meravigliosa, che prevedeva “riforme strutturali improntate al socialismo”; che affermava “…il principio della sovranità popolare” e “dello Stato fondato sul lavoro” e assegnava “alle forze del lavoro un posto nuovo e preminente”; riconosceva “il diritto dei lavoratori ad accedere alla direzione dello Stato”. Ribadiva “la necessità di trasformazioni politiche necessarie per muovere la società nazionale nella direzione del socialismo”; perchè la classe operaia italiana può organizzarsi “in classe dirigente… nell’ambito del regime costituzionale” e che “il rispetto, la difesa, l’applicazione integrale della costituzione repubblicana è il cardine di tutto il programma politico del partito”.
Tutte queste (e molte altre) frasi altisonanti di Togliatti e del gruppo dirigente del PCI hanno mascherato per decenni la realtà più cruda: tra tutti i 139 articoli contenuti nella Costituzione, l’articolo 42, il quale prevede che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”, ne rappresenta più di ogni altro la natura di classe.
Del resto, le disposizioni contenute nelle costituzioni di tanti paesi a favore di libertà e diritti civili, contengono allo stesso modo altre disposizioni che li annullano o li cancellano. Come disse Marx: “ciascun articolo contiene la propria antitesi: si annulla completamente”.
La parabola del PCI ha origine da questa fase storica. La scelta di classe rimase la stessa negli anni di Berlinguer e del compronesso storico, fino a quando il crollo dell’URSS diede modo ai dirigenti di allora di abbandonare definitivamente la scelta di campo ed annullare il nome del partito. Dopodichè il PCI, divenuto PDS, DS, PD, immedesimato nella logica politica dell’alternanza di governo, assume, per conto del grande capitale, il ruolo di partito di governo. La continuità storica di questa formazione politica è assicurata: il PD non è altro che il prodotto del PCI di allora.
SARA’ RENZI IL NUOVO PADRE COSTITUENTE?
Tornando alla Costituzione, ironia della sorte vuole che il governo Renzi si appresti ora a rimuovere quegli intralci alla propria “governabilità”, così vitali per i suoi predecessori di “partito” ai tempi della Costituente.
In tempi di crisi economica endemica e di guerra generalizzata serve un deciso rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e gli impedimenti posti da alcune norme costituzionali vanno rimossi, minimizzandone quanto possibile gli effetti negativi, convincendo ampi settori dell’opinione pubblica che esistono autoritarismi dal volto umano, tanto più necessari quando servono a disciplinare un paese disordinato e confusionario come il nostro. Cosa già tentata da Berlusconi nel 2006 e sonoramente bocciata nel referendum.
Ora il governo Renzi, incostituzionale e mai eletto dal popolo italiano, si appresta a svuotare quel che resta della democrazia rappresentativa per divenire lo strumento esecutivo delle decisioni di istituzioni extra nazionali, subendo l’egemonia USA e i ricatti dell’Unione europea, a salvaguardia degli obblighi di pareggio del bilancio e del pagamento del debito pubblico.
Certo, non possiamo pensare in assoluto che rivedere una costituzione significhi la rovina della democrazia; tuttavia quel revisionismo storico e politico tracciato da Togliatti nella carta costituzionale e sviluppato poi in decenni di riformismo democratico borghese, che ha svuotato di significato la lotta per il socialismo, mette a rischio lo stesso spirito originario del patto fondativo della Repubblica “nata dalla Resistenza”, cioè l’antifascismo. L’evidente progressione del sistema politico italiano verso un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo (con l’indebolimento del Parlamento e della sovranità popolare) e lo svuotamento della democrazia partecipativa fa ritenere che l’Italia abbia dimenticato molto della propria tradizione democratica. In Francia la guerra al terrorismo richiede misure autoritarie e liberticide come lo stato d’emergenza e la revisione autoritaria della costituzione. Abbiamo ceduto fette consistenti della nostra sovranità a vantaggio dell’Unione europea e delle banche (che hanno il privilegio non secondario di emettere valuta) e forgiato una nuova “etica” della guerra nel contesto dell’ingerenza umanitaria NATO. Abbiamo assegnato una centralità assoluta all’economia di mercato.
Siamo forse di fronte all’agonia della democrazia borghese? Cosa ci riserva il futuro?
Con ogni probabilità si andrà ad un nuovo referendum abrogativo. La parola tornerà allora ai cittadini, ma sarà una parola incerta, debole. Non sarà espressa con la lingua del protagonismo dei lavoratori e popolare, quanto invece con l’ennesimo sterile ricorso alle urne. Sterile perchè alla lunga sarà perdente, bloccato dal clima politico di reazione, come già nell’occasione di altri referendum si è potuto notare. Non c’è scelta: la battaglia per la difesa dei diritti costituzionali va appoggiata alla lotta per i diritti sociali, cioè alla lotta di classe, e questa non ha certo bisogno di essere accreditata da istituzioni ed istituti delegittimati e lontani da lavoratori e proletari.
Luciano Orio
“Legge elettorale e riforma costituzionale” – breviario delle ragioni del NO – Associazione Nazionale Giuristi Democratici – www.giuristidemocratici.it
“Ancora sulle divergenze fra il compagno Togliatti e noi” – Edizioni Oriente Milano
“Da Togliatti a Renzi” – http://www.pennabiro.it