Viviamo in un periodo di preoccupante instabilità: la crisi economica e politica è diventata oramai parte della nostra quotidianità e guerra e violenze sono appena fuori dai nostri confini. Mai come oggi sarebbe necessario avere degli strumenti per giudicare obbiettivamente la realtà, per capirne gli sviluppi e collettivamente farvi fronte.
Lo studio della storia è uno di questi strumenti, forse il più importante. Le “fonti” storiche sono la base di questo studio; sono dei dati oggettivi, di per se privi di uno specifico significato. La storiografia interpreta questi oggetti, li unisce in una narrazione, attribuisce loro un senso. Questa narrazione è fatalmente soggettiva, direttamente collegata alle convinzioni di chi la effettua; come tale è chiaramente discutibile. Imporre una narrazione di un determinato periodo storico è già di per sé un arbitrio. Nella vicenda “foibe” questo arbitrio è aggravato dal fatto che la narrazione “ufficiale” dell’evento non riporta quasi mai con chiarezza le fonti; in essa le stime più fantasiose diventano assiomi indiscutibili e l’attendibilità delle testimonianze non viene mai valutata.
Questo atteggiamento è estremamente pericoloso. Se l’interpretazione dei fatti prende il sopravvento sui dati oggettivi, viene a mancare il terreno stesso su cui le diverse visioni ideali possano confrontarsi e misurare la loro validità interpretativa: lo scontro, in queste condizioni, non può che avere per scopo l’annientamento dell’avversario. Non sorprende, quindi, che questo sia l’atteggiamento di leghisti e fascisti. Molto più preoccupante è che questo atteggiamento di spregio per il rigore storico venga da forze politiche che si dichiarano democratiche e anche “di sinistra”. Ciò dimostra una volta di più il cinismo ipocrita e l’irresponsabilità di questi politicanti, disposti a sacrificare per i loro scopi anche le stesse basi della convivenza civile.
Non ci permettiamo di esprimere giudizi di merito sull’opera della sig.ra Mellace. Da pseudo-storici – per usare la terminologia del consigliere regionale leghista Finco – non leggiamo, guardiamo solo le figure. In questo caso ci è bastata la copertina del libro, che vogliamo pensare non sia opera dell’autrice. L’immagine è un fotomontaggio dove i soggetti umani sono tratti da una foto d’archivio del processo per crimini di guerra e tradimento che lo stato jugoslavo nel 1946 celebrò contro i cetnici collaborazionisti con l’esercito di occupazione fascista italiano. La vittima che sta venendo sgozzata è un partigiano comunista, un cosiddetto “slavo-titino”, nel lessico aberrante e razzista dei “foibologi”. Forse ricostruire la storia di un rovesciamento delle parti così perverso, dove la vittima viene volutamente confusa col carnefice, chiarirebbe molto più di tante altre diatribe lo spirito tutt’altro che storico con cui questo argomento viene reiteratamente presentato.
La Deriva
Assemblea Antifascista Bassanese