Lenin e la rivoluzione russa
Ogni civiltà deve fare quello che può dei suoi grandi uomini, per assimilarne le idee secondo la propria mentalità.
Nelle leggende tagiche e kazache, Lenin era alto come le colline, come le nubi; secondo il folklore dungano egli era più splendente del sole e non conosceva la notte. Gli oirati dicono che egli avesse un raggio di sole nella mano destra, e un raggio di luna nella sinistra; e la terra tremava sotto i suoi piedi. Per gli uzbechi, Lenin era un gigante, capace di scuotere la terra e di muovere grandi rupi mentre cercava la prosperità nascosta fra le colline; e sapeva risolvere gli indovinelli più difficili. Nelle leggende kirghise, egli aveva un anello magico, con l’aiuto del quale rovesciò il potere del male e liberò i poveri dai torti e dall’ingiustizia. Si dice che si arrivato in Armenia su un cavallo bianco per mettersi alla testa del popolo. In un’altra leggenda, Lenin era un titano, in lotta contro Asmodeo, l’amico dei ricchi e dei privilegiati, il peggiore nemico dei poveri. Asmodeo tentò di uccidere Lenin, ma la luce che usciva dagli occhi dell’eroe lo mise in fuga. Lenin allora montò a cavallo di un’aquila e volò fino al Dagestan, dove mosse guerra ai ricchi, e infine tornò di nuovo a volo nelle regioni fredde a scrivere libri di verità per il popolo. Per gli ostiachi del nord, Lenin era un grande cacciatore di foche, che uccise i ricchi mercanti di pellicce e che favorì i poveri; non altrimenti, i nenci concepivano Lenin come il più esperto dei marinai, che aveva vinto i nemici in combattimento, si era impadronito dei loro cani e delle loro renne, e li aveva divisi tra i poveri. I cosacchi di Solochov immaginarono Lenin come un cosacco del Don.
Nella Russia prerivoluzionaria, come nell’Occidente cattolico durante il Medioevo, la Chiesa pensava che le idee astratte dovessero essere rese concrete mediante immagini, icone, stendardi, reliquie e altri oggetti, accessibili alla sensibilità dei contadini incolti. I bolscevichi hanno denunciato la mistificazione con cui la Chiesa tentava di attribuire un potere miracoloso alle sue immagini e alle sue reliquie, e, indirettamente, a se stessa; ma si sono valsi della stessa tecnica per diffondere le idee, poiché si rivolgevano allo stesso popolo. E’ quindi necessario conoscere lo sfondo storico del linguaggio usato dalla propaganda bolscevica, che altrimenti potrebbe essere considerato ingenuo e puerile, e riconoscere che, se è stata usata la tecnica della Chiesa ortodossa, l’uso che ne è stato fatto è ben diverso. Lenin non è adorato; nessuno pretende che ci sia alcunché di miracoloso nel processo scientifico con cui sono conservate le sue spoglie; il suo corpo nel mausoleo della Piazza Rossa, e il suo ritratto che ha sostituito quello dello zar sulle pareti delle case, offrono quell’elemento di concretezza accessibile alla mente del contadino che è sempre dominata, in ogni giorno della sua vita, dagli oggetti materiali e da questi soltanto.
Ma sono le parole di Lenin, le idee di Lenin che fanno testo nell’Unione Sovietica.
Tratto da “Lenin e la rivoluzione russa” di Christopher Hill
97 anni fa la Rivoluzione russa
Una breve rilettura degli avvenimenti che portarono all’Ottobre. Il ruolo fondamentale del partito dei rivoluzionari bolscevichi
“Spronando il ronzino della storia fino a farlo schiantare”. Così il poeta Majakovskij celebrò la Rivoluzione d’Ottobre, in uno dei suoi versi più emblematici. Un tributo all’opera di Lenin e dei bolscevichi che, quasi concentrando i tempi della storia, seppero cogliere tutte le contraddizioni che si presentavano e compiere la loro Rivoluzione, la loro opera d’arte. Rileggiamo brevemente quegli avvenimenti.
Nel 1914 il mondo è fuori controllo, scosso da uno stato di guerra generalizzato su scala planetaria. Ha inizio il grande macello imperialista. La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, ovvero una sciagura insopportabile per il popolo, mentre rappresenta, per i padroni imperialisti, nientaltro che la strategia più opportuna per uscire dalla crisi economica e conquistare nuovi popoli e nuovi territori allo sfruttamento globale. Tuttavia la situazione di guerra presenta anche una grave incognita: la guerra infatti favorisce la rivoluzione. A quel tempo, la Russia, alleata di Francia, Inghilterra, Giappone, entrava in guerra con la Germania.
Dopo due anni e mezzo di guerra, nel 1917, la Russia aveva subito perdite enormi e senza alcun risultato. Le truppe erano esauste, mal equipaggiate e ancor peggio guidate. Al fronte, milioni di soldati venivano uccisi e mutilati, senza capire il perchè di quella guerra. Pensavano fosse un capriccio dello zar Nicola II. Poi si resero conto dell’inettitudine e incompetenza del loro Comando supremo e finirono col chiedersi per quale motivo dovevano continuare a sacrificare le loro vite. Nel solo 1916 si registrarono più di un milione e mezzo di diserzioni. L’intera popolazione era colpita da una inflazione galoppante che impediva l’accesso ai più semplici beni di consumo. I salari dell’industria erano infimi. Il governo aveva i giorni contati.
Il 12 marzo 1917 un movimento di massa spontaneo di operai e soldati di Pietrogrado rovesciò il governo e chiese ed ottenne l’abdicazione di Nicola II. La dinastia dei Romanov, dopo trecento anni di regno, scomparve. Scrisse ancora Majakovskij: “Come una vecchia cicca masticata / Abbiamo sputato la loro dinastia”. Venne istituito un governo provvisorio, composto dai membri dei partiti che già avevano la maggioranza nella Duma di Stato e che nulla avevano fatto per la rivoluzione, che semplicemente occuparono i posti lasciati vuoti. Ma il vero potere nella capitale Pietrogrado si concentrava nel Soviet, organo rivoluzionario dei deputati degli operai. I soviet, assemblee di delegati delle fabbriche e delle organizzazioni operaie, erano le sole istituzioni democratiche esistenti nel paese. Essi nascevano spontaneamente e avevano le loro radici nell’antica tradizione democratica e di autogoverno popolare. I soviet si andavano rapidamente diffondendo anche nell’ esercito e nella marina e si estendevano a Mosca e ad altre città di provincia. Il Soviet di Pietrogrado assunse di fatto le funzioni di un secondo governo, che emanava proprie disposizioni, ben più ascoltate tra i lavoratori e i soldati di quelle del governo provvisorio. Si introdusse la libertà di stampa e di opinione, si liberarono i prigionieri politici ed altri tornarono dall’esilio. Tra questi, Lenin. Giunse ad aprile e subito attaccò il governo provvisorio, chiedendo la fine della guerra, la distribuzione della terra ai contadini e il passaggio dei poteri ai soviet. Questo programma conferì grande prestigio e seguito al partito bolscevico, da lui rappresentato, che venne però ben presto messo fuori legge dal governo provvisorio, ricostituitosi con gli elementi dei partiti rappresentati nei soviet, disposti a continuare la guerra. Kerenskij fu nominato primo ministro. Lenin fu costretto a nascondersi.
La guerra continuò, senza alcun entusiasmo, mentre guadagnava un crescente favore lo slogan dei bolscevichi, “pace, pane e terra”. L’esercito al fronte andava sfaldandosi, mentre il governo provvisorio si indeboliva sempre più, minacciato da complotti controrivoluzionari e privo dell’unico potere reale esistente in Russia, i soviet degli operai e dei soldati. Il governo aveva promesso la distribuzione della terra ai contadini e la convocazione di una assemblea costituente, ma non aveva dato nè l’una nè l’altra, impegnandosi solo in generici appelli patriottici per la continuazione della guerra.
I bolscevichi raggiunsero la maggioranza nel Soviet di Pietrogrado e nell’esercito ed il 7 ed 8 novembre, vincendo la scarsa resistenza del governo provvisorio, presero il potere. Venne formato un governo alla guida di Lenin, che emanò subito nuove leggi per distribuire la terra ai contadini e per nazionalizzare le industrie più importanti, mentre annunciava l’intenzione di mettere fine alla guerra. Kerenskij lasciò la capitale su un’auto con bandiera americana.
Questi i principali avvenimenti che portarono allo scoppio della rivoluzione russa. Una breve traccia che ci permette di scendere più nel dettaglio su uno degli aspetti più importanti: la costruzione del partito rivoluzionario.
Il partito bolscevico e le caratteristiche che lo differenziano dagli altri partiti socialisti.
Con lo sviluppo capitalistico di inizio ‘900, e con lo sviluppo quindi di una classe operaia urbana, si apriva in Russia la possibilità di una rivoluzione socialista. Continuare a pensare al socialismo russo sulla base delle comunità rurali significava fare il gioco della reazione; il capitalismo era ormai ampiamente sviluppato, anche nelle comunità rurali, che i contadini ricchi dominavano e il passaggio al socialismo era possibile solo con una rivoluzione diretta contro lo zarismo e la borghesia. Non erano più sufficienti il rovesciamento dello zarismo e la concessione di riforme democratiche, perchè queste “non avrebbero migliorato le condizioni dei lavoratori, ma solo le condizioni per la loro lotta contro la borghesia”. L’idea che i contadini avessero una loro funzione indipendente nella rivoluzione non aveva senso, perchè essi erano già divisi in ricchi e poveri e gli interessi dei primi coincidevano con quelli della classe media, mentre i nemici dei contadini poveri erano gli stessi degli operai. Lenin e il partito bolscevico compresero che la classe operaia era in grado di prendere la guida di tutti gli elementi contrari all’assolutismo zarista, senza lasciarsi trainare dai partiti liberali o dall’ala riformista del partito socialdemocratico, i futuri menscevichi.
Il partito socialdemocratico russo, fondato nel 1898, era membro della Seconda Internazionale Socialista, fondata nove anni prima per promuovere la lotta e la solidarietà internazionale della classe operaia. Partito prevalente, all’interno dell’ Internazionale , era il partito socialdemocratico tedesco, numericamente più forte e con una più estesa rappresentanza parlamentare. Era, tuttavia, il partito che nell’agosto 1914 votò i crediti di guerra al governo del Kaiser e che andava relegando in un futuro sempre più lontano l’obiettivo del socialismo, per interessarsi troppo dell’attività parlamentare e sindacale, dalle quali poteva ottenere concessioni economiche e voti. Ciò comportava certo una rapida espansione numerica del partito, ma anche una progressiva alterazione della teoria marxista. I capi erano sempre più interessati a conservare i loro posti ben retribuiti nel partito e nei sindacati, la cui esistenza dipendeva dalla conservazione del sistema capitalista.
Lenin ed i bolscevichi pensavano invece ad un’opposizione necessariamente rivoluzionaria, contro un governo assoluto, fortemente centralizzato, burocratico e repressivo. Con Lenin, i bolscevichi appresero della tradizione rivoluzionaria russa. I gruppi clandestini, così importanti nel lavoro illegale contro l’autocrazia, vennero saldati insieme in un unico partito, unito da una teoria comune, considerato come il nucleo dirigente di “rivoluzionari sperimentati, addestrati professionalmente non meno della polizia”, nucleo attorno al quale sviluppare un movimento operaio di massa.
Le due concezioni completamente diverse e conflittuali dell’organizzazione del partito socialdemocratico si scontrarono all’interno del congresso del partito nel 1903. I menscevichi pensavano ad un partito parlamentare ma, a quell’epoca, in Russia, non vi erano nè parlamento, nè elettorato. I bolscevichi miravano a creare un “partito nuovo”, unito da un accordo completo e consapevole sugli obiettivi fondamentali. Ai primi che puntavano ad un partito parlamentare di tipo occidentale, sommatoria delle volontà dei singoli individui membri, Lenin ed i bolscevichi contrapposero l’idea di un organismo con una volontà unica, che corrispondesse per disciplina ed organizzazione alla fabbrica, fondata sul lavoro collettivo, “organizzata in condizioni di produzione altamente sviluppate dal punto di vista tecnico”. Un partito per la classe operaia, già “preparata all’organizzazione da tutta la sua vita”.
Questo conflitto tra bolscevichi e mescevichi rifletteva non tanto uno scontro tra due concezioni diverse dell’organizzazione e della tattica, quanto l’adesione dei primi alla teoria marxista, basata sull’analisi dello sviluppo della civiltà industriale. L’adesione dei bolscevichi al socialismo scientifico maturava nelle condizioni specifiche della Russia: all’attenta analisi marxista dei rapporti di classe si univa la tradizione rivoluzionaria russa, conseguente alle esigenze della vita in Russia all’epoca dell’assolutismo zarista. Tutte e due queste circostanze ben poco avevano a che fare con il parlamentarismo borghese. I bolscevichi guadagnarono rapidamente la maggioranza in tutte le organizzazioni socialdemocratiche illegali e, quando si giunse alla prova dei fatti, “la scintilla incendiò la prateria”.
Ma la teoria marxista doveva essere introdotta nel movimento operaio russo dall’esterno, dagli intellettuali delle classi agiate, che soli avevano cultura e tempo disponibili per dedicarsi a questi studi. E “senza teoria rivoluzionaria non ci può essere movimento rivoluzionario”. Gli intellettuali erano inevitabilmente attratti dall’influenza dello sviluppo capitalistico in Russia, con relativa possibilità di accedere a comodi impieghi e buona remunerazione. Lenin pertanto fece di tutto affinchè fossero gli operai ad occupare i posti di direzione nel partito. Gli intellettuali erano necessari tra i teorici e gli organizzatori all’estero, ma le loro attività erano prive di autorità se non erano sufficientemente appoggiate da un movimento, da uno strato sociale all’interno del Paese. I lavoratori avevano il compito di controllare i loro dirigenti, utilizzando le loro conoscenze e preparando i nuovi dirigenti, capaci di assimilare gli insegnamenti teorici, mentre gli intellettuali “devono parlarci meno di quello che già sappiamo e devono dirci di più di quello che non conosciamo e che non potremo mai imparare dall’esperienza della fabbrica e del sindacato”. Questa osservazione particolare derivava dalla battaglia politica che opponeva bolscevichi e menscevichi (maggioranza e minoranza) nel partito. La netta separazione della mentalità di chi milita nell’esercito proletario, dalla mentalità dell’intellettuale borghese che fa sfoggio di una fraseologia anarchica. La convivenza tra le due fazioni divenne sempre più difficile, i menscevichi rifiutavano di adeguarsi alle decisioni della maggioranza (bolscevica) e questo sancì la separazione di fatto tra le due correnti.
Questa divergenza di vedute già si era manifestata durante la rivoluzione (democratico-borghese) del 1905, quando i menscevichi teorizzarono che in una rivoluzione borghese la forza principale e dirigente dovessero essere i liberali, che conducevano la lotta per nuove riforne costituzionali. I bolscevichi, invece, in accordo con Marx ed Engels, ritenevano che anche la rivoluzione democratica borghese non può essere portata a termine senza la partecipazione degli “elementi plebei” della società, questo permetteva di dare una direzione autonoma al movimento operaio e di invitare i contadini ad una possibile alleanza. Gli eventi giustificarono questa scelta: la costituzione, concessa nel 1906, si rivelò un bluff: in meno di due anni il diritto di voto nelle elezioni della Duma di Stato venne talmente limitato che il voto di un solo proprietario terriero valeva più di quello di cinquecento operai. La prospettiva di vittoria per questa via non esisteva e del resto le funzioni della Duma vennero talmente limitate che fu necessaria una nuova rivoluzione democratica, nel marzo del 1917, perchè i partiti liberali andassero al potere. Tramite il loro nuovo governo proposero allora di continuare la guerra con la Germania, favorevoli menscevichi e socialisti rivoluzionari, ma la proposta trovò i bolscevichi risolutamente contrari. Essi impugnarono la direzione di una seconda rivoluzione, proletaria, che spazzò via menscevichi e governo nel novembre ’17.
La concezione che i bolscevichi avevano del partito si dimostrò molto più adatta alle condizioni russe; gli anni tra il 1903 e il 1917 furono densi di esperienza pratica per l’applicazione del marxismo alle condizioni di quel Paese. L’analisi degli avvenimenti e la teoria politica da loro elaborata era la più concreta, ed essi facilmente riuscirono a conquistare l’egemonia politica sugli altri partiti nei mesi rivoluzionari del 1917. Grande fu la padronanza della situazione da loro dimostrata: il partito sapeva precisamente ciò che voleva, quali concessioni fare ai diversi gruppi sociali (per primi i contadini), come educare le masse attraverso l’azione di tutti. L’organizzazione del partito permetteva una grande flessibilità di manovra, energia e fermezza nel raggiungimento dell’obiettivo, ciò che procurò loro un grande seguito tra le masse popolari, tale da poter prendere e mantenere il potere. Nel 1917, due terzi dei componenti del partito erano operai.
Caratteristica della rivoluzione russa è che essa ha elevato i poveri e gli oppressi e ha migliorato la loro sorte in ogni aspetto della vita quotidiana. Essa ha dimostrato che la gente semplice (anche in un paese molto arretrato) può assumere il potere e dirigere lo stato in modo molto più efficiente dei “migliori” borghesi. Scriveva Lenin. “……solo allora vedremo quali inesauribili forze di resistenza al capitalismo sono latenti nel popolo…..prima politicamente inerte, languente nella miseria e nella disperazione, senza più fiducia in sè e negli uomini, nel proprio diritto alla vita, nella possibilità di servirsi dell’intera forza di un moderno stato centralizzato”.
Luciano Orio
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