Attualmente c’è confusione sul ruolo del Partito Comunista nel movimento operaio. I comunisti tendono, da un lato, a sovrastimare il ruolo del partito e, dall’altro a sottostimarlo. La sovrastima consiste nel considerare spesso il partito come l’unica forza della classe. Per qualche ragione si ritiene che sia compito del partito costruire i sindacati, gli organi della dittatura del proletariato, etc.. E c’è l’altro estremo. La massa, gli stessi lavoratori capiranno “di chi è la colpa” e “che fare”, sicchè il partito dovrebbe “maturare” in seno al movimento proletario spontaneo.
Durante la “primavera russa” di Donetsk, un compagno invitò seriamente a creare i consigli per implementare le disposizioni della Dichiarazione di Sovranità della Repubblica popolare di Donetsk. Bisogna ricordare che i primi consigli (soviet) vennero organizzati dai lavoratori in sciopero durante la Prima Rivoluzione Russa. Erano comitati di sciopero che controllavano le lotte relative agli scioperi. In altre parole, gli organi della dittatura del proletariato nascono dalla lotta reale, e non possiamo sapere in anticipo che forma assumeranno nel futuro. Pertanto, il peggior errore è quando i comunisti tentano di adattare la vita a degli schemi morti.
Però queste idee “rivoluzionarie” sorgono in generale nei periodi di convulsione sociale. In tempi relativamente tranquilli, le opinioni dei partigiani del movimento operaio spontaneo sono ampiamente diffuse, perfino se l’attività di questo movimento è pressochè nulla. Nell’articolo “Il giornale come organizzatore collettivo” ricordavamo come siano passati più di cento anni dalla nascita dell'”Economicismo”, però i suoi sostenitori sono ancora presenti tra i comunisti. Sono portatori di un’ampia gamma di proposte che vanno dalla “maturazione del partito” fino alla creazione di un'”organizzazione di lavoro”. Senza dubbio, in tutto ciò che lo riguarda, al partito viene affibiato un ruolo poco invidiabile: invece di dirigere il movimento spontaneo della classe lavoratrice, si vede costretto a seguirlo.
A suo tempo il colpo decisivo all’Economicismo fu inferto dai lavori di Vladimir Lenin “Da dove cominciare?” e “Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento”, mentre il marxista ungherese Gyorgy Lukacs sviluppò le idee di Lenin nel suo libro “Storia e coscienza di classe”. Lenin affermò che con le proprie forze la classe lavoratrice riesce a sviluppare solamente una coscienza di tipo sindacale. In quanto alla coscienza di classe in se stessa, essa può essere solamente introdotta dall’esterno, veicolata dal partito politico. A sua volta, Lukács paragonò il partito alla testa, nata dal corpo della classe lavoratrice ed il cui compito è vedere almeno un passo davanti di esso.
Non è esagerato affermare che il destino di ogni rivoluzione socialista dipende dalla maturità ideologica del proletariato. L’indicatore di tale maturità è l’esistenza della coscienza di classe tra i lavoratori, poichè il proletariato agisce quando è cosciente della sua posizione. Occorre tenere a mente che la produzione delle merci nel capitalismo differisce dalle forme precedenti per il fatto che la stessa forza-lavoro diventa una merce. Senza la consapevolezza della posizione del proletariato sotto il capitalismo, non ci si renderà mai conto della necessità di cambiare lo stato delle cose esistente. I lavoratori moderni sono coscienti di essere solamente un prodotto vendibile al mercato al pari del vestiario, delle auto o dei generi di prima necessità? Chiaramente no. Oggi, il proletario ha una coscienza puramente borghese, la quale si manifesta non nella lotta contro il sistema, bensì nello sforzo per occupare il posto della borghesia, nell’accumulare denaro, nel diventare ricco e cominciare anch’egli a sfruttare. Ciò continuerà fino a che il Partito Comunista non comprenderà il suo vero ruolo in seno al movimento operaio, che consiste nell’introduzione della coscienza di classe nel proletariato. Sicuramente Lukács aveva ragione quando diceva che la coscienza di classe è l'”etica” del proletariato.
Gli “Economicisti”, e con loro i menscevichi, credevano erroneamente che la coscienza di classe sia una pura continuazione della psicologia di classe. Da ciò discende la loro adorazione del movimento operaio spontaneo. L’eminente marxista sovietico Mikhail Lifshitz richiama l’attenzione sul fatto che, in ogni caso, è impossibile confondere i due concetti. “La psicologia di classe del proletariato, come prodotto della vita di fabbrica non deve essere confusa con la teoria del socialismo proletario, che, come qualsiasi teoria discende da una riflessione dei fatti obbiettivi della realtà esterna e soprattutto della storia umana”. (Mikhail Lifshitz, «Dialogo con Ewald Ilyenkov (il problema dell’ideale).
Poichè la coscienza di classe del proletariato coincide con la teoria del socialismo, il partito non agisce como portatore solamente dell’ideologia ma anche di conoscenza scientifica. A sua volta, l’ideologia come forma di coscienza sociale esisterà fintantochè esisterà una divisione classista del lavoro. “Solo una forma direttamente sociale del lavoro e l’abolizione della divisione classista del lavoro permetteranno alla coscienza sociale di non esser più un’ideologia, poichè sarà liquidata la sua base oggettiva e, pertanto la sua pretesa ideologica” dice Valery Bosenko in “La dialettica si vendica del suo abbandono”. Secondo Bosenko la società senza classi è “il prodotto del materialismo pratico”, e pertanto non è un’ideologia. Con la transazione a questa società l’ideologia borghese sarà distrutta, e l’ideologia in generale affloscerà.
Già ai loro tempi Marx ed Engels affermavano che il comunismo era diventato una scienza e che occorreva studiarla. Quindi, il partito che si definisce comunista deve assumersi la piena responsabilità di avvicinarsi alla teoria del socialismo come alla coscienza del proletariato. I comunisti dovranno svolgere un gran lavoro per l’introduzione della coscienza di classe. Il fatto è che nell’Unione Sovietica lo studio del Marxismo svanì e la situazione attuale in questo campo è ancora peggiore.L’insufficiente alfabetizzazione teorica dei comunisti attuali viene alla luce in particolar modo nella discussione sulle cause della caduta del socialismo in URSS. Sicuramente è possibile spiegare quegli accadimenti con la degenerazione della leadership e l’incapacità di riprodurre un’elite del PCUS sufficientemente preparata, ma questo modo di porre la questione non è marxista, per dirla gentilmente. Questo è il positivismo più puro.
Alla fine del secolo XIX, il russo Nikolai Mijailovski sviluppò la teoria dell’eroe e della moltitudine, secondo la quale lo sviluppo della storia è determinato dalla volontà dei grandi uomini. In risposta, George Plejanov scrisse un articolo, “Sulla questione del ruolo della personalità nella storia”, dove afferma: “E’ necessario riconoscere che attualmente la causa finale e più generale del movimento storico dell’umanità risiede nello sviluppo delle forze produttive che determina i conseguenti cambiamenti nelle relazioni sociali tra gli uomini”. In quest’ottica possiamo osservare come la sconfitta del socialismo non è spiegabile con il comportamento dei “grandi uomini” bensì con il “cambiamento delle relazioni sociali.
Gli accadimenti dell’inizio degli anni ’90 solamente consacrò sul piano istituzionale i “risultati” degli anni ’50 e ’60. Il principale “successo”, certamente, fu la cosiddetta riforma Kosiguin, la quale prevedeva un ampliamento dell’indipendenza economica delle imprese, in altre parole la autogestione finanziaria. In occidente tale riforma simile fu battezzata con il nome dell’economista sovietico Yevsey Lieberman, il quale, pochi anni prima della sua adozione ne aveva delineato i caratteri nell’articolo, pubblicato sulla Pravda, dal titolo “Pianificazione, profitto e incentivi”. A suo dire il criterio principale dell’impresa è il profitto, in quanto utile “per l’opera di costruzione del comunismo”. Oggi è ovvio che tutto ciò ha portato direttamente alla restaurazione del capitalismo.
Si rendeva conto la leadership sovietica di quali fossero le conseguenze minacciate da queste decisioni? Con ogni probabilità no, a causa di un analfabetismo teorico totale. A differenza dei leader seguenti, Stalin aveva perfettamente compreso che l’obbiettivo del socialismo è superare la commerciabilità (si veda “Per una critica della base economica dello stato”). Ma negli anni successivi l’economia sovietica si sviluppò “alla Lieberman” e non “alla Stalin”. In ogni frangente si adattò semplicemente la forma al contenuto. E non avrebbe potuto essere diversamente,perchè l’obiettivo della industria sovietica era di produrre la maggior quantità di beni possibile. A sua volta, una maggiore commerciabilità è una minaccia mortale per il socialismo.
Uno dei primi segnali di allarme sulle nuove tendenze dell’economia sovietica fu Ernesto Che Guevara (si veda “Sul sistema di finanziamento degli investimenti”). Egli criticò in particolare criticò duramente l’affermazione di Lieberman sullo stimolo materiale come principale incentivo. “Non siamo d’accordo con l’enfasi che Lieberman pone sull’ineresse materiale (come leva economica)”, scriveva il Che, “però la sua preoccupazione per le derive che il concetto di “adempimento del piano” subisce con lo scorrere del tempo ci sembra corretta. Le relazioni tra le imprese e i dipartimenti centrali assumono forme abbastanza contraddittorie, e i metodi utilizzati dalle imprese per generare profitto a volte presentano caratteristiche molto lontane dalla nozione di moralità socialista”.
Con un po’ di audacia, Che Guevara può essere considerato al livello di Lenin e Lukács, per comprensione del problema della coscienza di classe. Nel lavoro citato, egli delinea abilmente la relazione tra coscienza e sviluppo della produzione. Nella sua visione, in Cuba come nel resto del campo socialista, era necessario cominciare ad affrontare il più presto possibile il tema dello sviluppo di una nuova coscienza in sintonia con le nuove forme date ai rapporti di produzione. Spingendosi oltre, nonostante la coscienza sia un prodotto delle relazioni esistenti, il suo sviluppo in certi momenti può superare il livello di sviluppo delle forze produttive. Pertanto, Che Guevara parla della necessità di educare alla coscienza come di un fattore fondamentale nella costruzione del comunismo.
E’ ovvio che la riproduzione (e, dopo la riforma Kosiguin, il considerevole rafforzamento) delle tendenze capitaliste nella produzione conduca alla riproduzione della coscienza borghese. E’ questo l’evento che si rende palese nel momento della “perestroika” di Gorbachov, Yakovlev, Yeltsin e di chi li ha seguiti. Essi sono sicuramente degli impostori, ma non dobbiamo sovrastimare il loro ruolo nel collasso dell’URSS. La produzione mercantile, come un setaccio, separa gli indesiderabili per trattenere gli agenti che le sono necessari. Non solo i leader, ma tutti i 20 milioni di iscritti al PCUS portarono le relazioni monetario-mercantili alla loro logica conclusione: la restaurazione del capitalismo.
In contrasto con l’autofinanziamento sovietico, uno dei leader della Rivoluzione Cubana propose un sistema di finanziamento di bilancio per risolvere il problema di elevare gli standard di produzione. Il vantaggio consiste nel favorire un considerevole aumento della formazione professionale, che nel tempo dia luogo ad un corrispondente aumento del livello tecnico generale. “Bisogna anche prendere in considerazione”, continua, ” che sarà facile – con la politica dei sussidi – trasferire gli studenti che abbiano elevato le loro qualifiche ad un altro posto di lavoro ed eliminare gradualmente le aree produttive dove sia predominante il lavoro vivo, al fine di creare imprese maggiormente produttive, più rispondenti all’idea basica di transizione al comunismo, di una società produttivamente sviluppata, al soddisfacimento delle necessità primarie umane.
Che Guevara era convinto che lo svolgimento del proprio compito non sia semplicemente una fonte di guadagno per il lavoratore, come lo era nel sistema di autofinanziamento, ma un suo preciso dovere sociale. Nel raggiungere questo obbiettivo il partito svolge un ruolo primario. In tal senso, non solo è portatore della coscienza di classe, ma anche la avanguardia. I comunisti, attraverso l’esempio personale, devono dimostrare la propria disponibilità a svolgere i loro compiti sociali. Come è noto, Lenin prese parte ai “subbotnik”, e il Che sperimentò personalmente nuovi macchinari per la produzione. Nel futuro il proletariato seguirà il partito che sarà pronto ad aiutarlo nell’assolvimento del suo compito storico. Che lo aiuti, non che decida al suo posto.
Oggi il movimento comunista si trova in una profonda crisi provocata dalla sconfitta del socialismo nell’URSS e nei paesi del campo socialista. Ma la sconfitta politica ed economica non è terribile come la sconfitta teorica. Se il cervello del proletariato è pieno di ogni ciarpame (positivismo, ad esempio), anche in presenza di una situazione rivoluzionaria, non può minimamente opporsi ad una società in decomposizione. Ma sono proprio le questioni teoriche che un partito può e deve risolvere nell’ambito delle condizioni attuali di una cieca reazione.
Stanislav Retinsky
Segretario del Comitato Centrale del KPDNR (Partito Comunista della Rep. Popolare di Donetsk